Pagina 4 di 5 Giustizia e Sedaqah
Nel cuore della saggezza di Israele
troviamo un legame profondo tra fede nel Dio che “solleva dalla polvere
il debole” (Sal 113,7) e giustizia verso il prossimo. La
parola stessa con cui in ebraico si indica la virtù della giustizia, sedaqah,
ben lo esprime. Sedaqah infatti significa, da una parte,
accettazione piena della volontà del Dio di Israele; dall’altra, equità
nei confronti del prossimo (cfr Es 20,12-17), in modo speciale
del povero, del forestiero, dell’orfano e della vedova (cfr Dt 10,18-19).
Ma i due significati sono legati, perché il dare al povero, per
l’israelita, non è altro che il contraccambio dovuto a Dio, che ha
avuto pietà della miseria del suo popolo. Non a caso il dono delle
tavole della Legge a Mosè, sul monte Sinai, avviene dopo il passaggio
del Mar Rosso. L’ascolto della Legge, cioè, presuppone la fede nel Dio
che per primo ha ‘ascoltato il lamento’ del suo popolo ed è “sceso per
liberarlo dal potere dell’Egitto” (cfr Es 3,8). Dio è attento
al grido del misero e in risposta chiede di essere ascoltato: chiede
giustizia verso il povero (cfr Sir 4,4-5.8-9), il forestiero
(cfr Es 22,20), lo schiavo (cfr Dt 15,12-18). Per
entrare nella giustizia è pertanto necessario uscire da quell’illusione
di auto-sufficienza, da quello stato profondo di chiusura, che è
l’origine stessa dell’ingiustizia. Occorre, in altre parole, un “esodo”
più profondo di quello che Dio ha operato con Mosè, una liberazione del
cuore, che la sola parola della Legge è impotente a realizzare. C’è
dunque per l’uomo speranza di giustizia?
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