Dietro la porta
giovedì 03 dicembre 2009

Una poesia di Pina Violet
tratta da "Lettere dalla Facoltà"
Ottobre 2008
porta chiusa

DIETRO LA PORTA

Disperazione,
dietro la porta chiusa.
Più non ascolti
sussurro del vento
nè canto del silenzio.
Più non vedi
quel pò di rosa
sulle gote di tua madre.
Malessere greve.
Tu, solo, pesante,
su terra fredda e vuota,
e quel tu son io,
quell'io sei tu.
Disperazione.
Scura la mente
e grida l'anima
che s'aggrappa al niente
e piangere, voler dormire,
per non capire,
non capire più.

 

Pina Violet

 

Stavolta mi accingo a scrivere, su richiesta dell’autrice, un commento sulla poesia “Dietro la porta”.
Non credo che Pina Violet chiedendomi di farlo si sia resa conto della difficoltà in cui mi ha messo, sia nei confronti suoi che di me stesso.

Leggo la poesia “Dietro la porta” e la cosa che subito mi salta all’occhio è l’atmosfera crepuscolare del testo che molto probabilmente è stato scritto in un momento non molto facile della vita di Pina. Non credo sia casuale la scelta di iniziare la poesia con la parola “disperazione” e neanche casuale credo sia il fatto che l’unico aggettivo positivo del testo – il rosa delle gote di tua madre - è usato solo per annotarne l’assenza.
Scorgo nelle parole di Pina la paura dell’ineluttabile e la frustrazione di dover per forza lottare sapendo di non poter cambiare nulla, la confusione, l’asetticità del dolore e la consapevolezza del sapere di doverne  sopportare il peso da sola.
A quel punto l’umano desiderio di addormentarsi per uscire dal mondo, di estraniarsi dalla realtà per riposare le membra e l’anima, sgorga come il lamento di un ferito che chiede pietà al nemico.
Solo una tregua dalla sofferenza, “per non capire, non capire più”.

Se letta ad alta voce (come credo si debba leggere) la poesia presenta a mio parere due peculiarità: la prima è l’uso parsimonioso degli articoli che rende il testo volutamente spezzato, spigoloso, quasi difficile da articolare; la seconda è l’uso, credo involontario, in alcune frasi di parole contenenti molte “erre” che le rende ruvide (terra fredda; malessere greve) e “grattugiate” creando un effetto dissonante, magari anche leggermente fastidioso, che però trova un suo significato nell’ambito dell’argomento.
Un altro passo che mi ha colpito è la non-chiarezza della frase: “e quel tu son io, quell’io sei tu”. Non credo abbia molta importanza cercare di svelare l’enigma delle parole, penso invece che qui ci  sia la chiave di volta del testo, il punto di massimo disorientamento da dove poi nasce il desiderio dell’annullamento.

Brava Pina.  

Nando
 

Ultimo aggiornamento ( venerdì 04 dicembre 2009 )