mercoledì 16 settembre 2009 |
Aggiungiamo ulteriore nota di commento tratta da www.rodoni.ch
Composta nel 1796, la Missa in tempore belli offre un rapporto
più articolato fra solisti e coro; diversi movimenti vengono però
concepiti in modo piuttosto inedito e singolare. Colpisce infatti la
giuliva espressione di trionfo che nel Kyrie cancella ogni supplica e
traccia di dolore, l’ampio dramma spirituale del Sanctus che dalla
contemplazione di Dio - dolce e commossa ma poi solenne e grandiosa -
giunge ad un’implorante richiesta di grazia e alla travolgente pienezza
liberatrice della gloria celeste, e infine il clima del Benedictus
timoroso per la venuta del messo divino; ma colpisce soprattutto
l’irruzione della storia e dell’attualità nel solare andamento
espansivo dell’Agnus Dei, brutalmente contraddetto da impressionanti
rulli di timpani e tragici squilli di trombe che ricordano la guerra in
corso come nodo cruciale da sciogliere per ottenere quella ‘pacem’ non
a caso annunciata da fanfare vittoriose. Per la prima volta dunque,
l’ambito sovratemporale del sacro viene obbligato a misurarsi con le
sofferenze del mondo: segno di una spiritualità consapevole di esigenze
nuove che permea l’intera messa, dove i temi religiosi indicano un
senso al vissuto di Haydn, che a sua volta raggiunge la più limpida
professione di fede come risposta ad urgenti domande personali; la
drammaturgia soggettiva interagisce quindi con quella liturgica, in un
perfetto equilibrio speculare. Possiamo scorgere i percorsi di questo
doppio binario anche nei movimenti drammatici delle due sequenze
maggiori. Il Gloria prorompe gioioso, risuonando in una dimensione
colossale fino a divenire tempestoso e travolgente sulle parole ‘Deus
Pater’; l’intensa melodia lirica del violoncello sul ‘Qui tollis’
esprime l’amore del Figlio e le suppliche dei fedeli in un’estatica
commozione che sfocia nell’oscurità del ‘Qui sedes’ e nel ‘Miserere’,
coniugando mirabilmente il dolore per il peccato ad un profondo
sentimento di accordo con la pietà di Cristo. Al deciso inno
baroccheggiante della prima parte del Credo subentra l’episodio
centrale “Incarnatus/Crucifixus”, concentrato sul miracolo della
trasformazione di Dio in uomo con espressioni di dolore e sofferenza
per questo sacrificio, evento grandioso carico di superiore tragicità;
nel vigoroso ascendere del “Resurrexit” Haydn sottolinea la parola
‘mortuorum’ arrestando la corsa del brano con accenti cupi e carichi di
attesa, per poi riprenderla col giubilante ‘Vitam venturi’ in una
splendida sintesi del concetto di morte e resurrezione.
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Ultimo aggiornamento ( mercoledì 16 settembre 2009 )
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