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Vocalità e oratori PDF Stampa E-mail
lunedì 14 settembre 2009
Arie, Lieder e Cantate. Fin dal 1771 Haydn aveva composto arie sostitutive per opere altrui, ma dal 1785 al '90 triplicò la produzione con brani spesso esemplari. Nonostante la corretta ma opaca vocalità, nell'aria "Ah tu non senti amico" (1786) per l'Ifigenia di Traetta colpisce la mirabile impronta drammatica dei timbri e dell'eccitato nervosismo orchestrale; nell'aria "Se tu mi sprezzi ingrata" (1788) per I finti eredi del Sarti, l'affettuosa ed elegante morbidezza della melodia ondeggia invece fra i registri paralleli del sentimento e della commedia. Il catalogo haydniano non comprende tuttavia significative arie da concerto; fallisce ad esempio Solo e pensoso (1798), rovinato dai più scialbi e vetusti luoghi comuni del '700 che distruggono la metrica e ignorano l'anima vera del testo del Petrarca. Esiti di gran lunga migliori si registrano invece nelle Cantate. Miseri noi, misera patria (1785) é uno splendido brano per la vibrante forza espressiva con cui descrive le sofferenze della città caduta dopo un assedio e per il melos intenso della prima parte, mentre la seconda unisce con ottimo equilibrio virtuosismo e drammaticità. Interessante sia nella versione col cembalo che in quella strumentale, Arianna a Nasso (1789) riesce a valorizzare le consuetudini di un recitativo che annoda tre arie davvero stupende: la nostalgica melanconia della dolcissima lirica iniziale, gli accenti dolorosi dell'altra e infine lo scoppio di una disperazione lungamente preparata dal monologo che la precede. Berenice, che fai? (1795), su testo di Metastasio, rappresenta un culmine dell'arte vocale di Haydn; il recitativo di apertura esprime con forte pregnanza la varietà e l'organico fluire delle passioni, muta pian piano in un arioso e sbocca senza pause nell'aria dolente, drammatica e agitata che corona il perfetto disegno dell'insieme. La coralità del periodo inglese prepara in qualche modo l'avvento degli ultimi oratori, dalla rappresentazione della tempesta e della successiva calma in The Storm (1792) ai due brani che formano l'ode incompiuta Mare Clausum (1794): mentre il giubilo del coro "Thy great endeavours" suona efficace ma piuttosto convenzionale, l'aria "Nor can I think" mostra una vocalità che diverge dalle forme abituali per ottenere un eroico andamento saldo e grave, sostenuto dal ritmo staccato del basso che accenna ad una cupa e severa marcia militare. Dal 1781 in poi, altrettanto significativa per gli esiti della Schopfung e delle Jahreszeiten fu la pratica del lied, scoperto da Haydn grazie al nuovo clima culturale di Vienna impegnato nella ricerca di un autentico spirito tedesco. A questa vocalità cameristica, dal 1794 si aggiunsero due serie di English Canzonettas; nella prima, uno stile settecentesco quanto mai discreto delinea frasi di popolare immediatezza, lirismo elegiaco e toccante semplicità, intrise di profonda, quasi tragica tristezza e di struggente malinconia. Gli oratori. Con Il ritorno di Tobia (1774), composto per quella Tonkunstler Societat che ebbe il merito di scrivere la storia del grande oratorio viennese commissionandolo ai più famosi musicisti dell'epoca, Haydn esordisce in questo genere firmando un'eccellente partitura. Nella versione biblica, la vicenda narra di Tobia che parte alla ricerca di una medicina per guarire il padre Tobit, divenuto cieco; ma la figura dell'Angelo che l'accompagna e le prove affrontate durante il viaggio - i demoni e il mostro da cui viene tratta la magica pozione – disegnano il quadro fiabesco di un cammino iniziatico, concluso nell’azione taumaturgica che sana il genitore rendendolo profeta e nelle nozze celebrate con una fanciulla eletta. Questi elementi folklorici scompaiono invece dal testo di Giovanni Boccherini; fedele agli schemi dell'azione sacra, che diede al '700 con Metastasio un modello egemone di oratorio italiano, le avventure del protagonista vengono riassunte dall’angelo Raffaele, trasformato in severo personaggio umano dietro cui si cela l'emissario di Dio, mentre il mondo magico perde qualsiasi potere giacché non il farmaco ma solo un miracolo restituisce la vista a Tobit. Il contenuto del libretto tocca dunque i temi morali della devozione, dell'amor familiare, della fede e della pietà. Haydn ampliò a sua volta l'oratorio nel 1784, con l'aggiunta di cori che contribuiscono a delineare una monumentale geometria architettonica: mentre l'intera opera culmina nell'aria di Raffaele "Come se a voi parlasse un messagger del cielo", molto articolata rispetto all'ordinario schema ABA' degli altri pezzi chiusi, gli interventi corali son posti all'apice di entrambe le parti, divise perciò secondo rigorosi princìpi simmetrici. L'ampio respiro del disegno si riflette poi nell'estesa proporzione delle arie, dove l'aulico profilo di una melodia ben tornita rielabora con grande arte stilemi e formule tradizionali, oggettivando le passioni entro gesti scultorei impressi nella materia di un'orchestra corposa ma elastica e ricca di tinte; al razionalismo del testo si sovrappone quindi una neoclassica plasticità di linee. Ricordando la loro goffa scrittura teatrale, colpisce l'intenso lirismo dei recitativi nell'esprimere un pathos che verrà poi sublimato dalle arie; ogni personaggio diviene dunque una figura universale ed esemplare, tramite forme di serena chiarezza che ritraggono con distacco i vari moti dell'animo. Al Tobia non seguirono in breve tempo altri oratori; solo nel 1795 il barone Gottfried van Swieten fornì il libretto della versione per soli, coro e orchestra di quelle Sieben letzten Worte unseres Erlosers am Kreuze che Haydn aveva già composto, dieci anni prima, in forma di brani strumentali su richiesta del clero di Cadice. In quella prima versione il Venerdì Santo, mentre un'unica lampada rischiarava la chiesa immersa nelle tenebre, un'Introduzione più sette Adagio e un Presto conclusivo dovevano appunto disporre i fedeli a meditare sulle varie fasi dell'agonia di Cristo, seguendo a ciascuna omelia del sacerdote che declamava e commentava le parole del Redentore crocifisso. In quadri separati, si delinea dunque un dramma che possiede il proprio sviluppo, un apice nel "Sitio" e la catarsi nei due pezzi seguenti, ma che viene inscritto nella stasi contemplativa di quadri dall'immota gestualità; imperturbabile, la musica delinea così le proprie forme nella pasta marmorea di uno stile neoclassico, che depura i sentimenti in un’ascetica sublimazione. Col quadro tempestoso del cataclisma, l'ultimo pezzo adombra un'umanità rigettata nel caos dalla morte di Cristo; ma il linguaggio retorico e descrittivo produce un maldestro finale, incongruente con l'insieme dell'opera. Varie trascrizioni, per pianoforte o quartetto d'archi, nacquero sull’onda di un grande successo della partitura non solo negli ambienti religiosi; ma il timore di possibili scempi, come nel caso di una versione corale che ascoltò a Passau, chiarisce solo alcuni dei motivi che spinsero Haydn a trasformare lui stesso quei brani sinfonici in un oratorio: evitando di collegarli tramite un racconto per non alterarne lo spirito contemplativo, la sua strategia mira infatti ad elaborare una forma nuova che sottintende gli eventi drammatici risolvendosi nell'espressione lirica e nella meditazione. La scoperta di Handel, avvenuta durante il festival londinese del 1791, può aver influito sul rilievo dato al coro; Messiah e Israel in Egypt non sembrano fornire invece alcun modello, pur suggerendo una drammaturgia allusiva. Le Sieben Worte propongono dunque una formula originale che oscilla fra cantata, oratorio e arcaica coralità germanica; limitata a quest'unica esperienza dall'ulteriore produzione di Haydn, essa anticipa comunque una delle vie battute dal romanticismo nel ripensare il genere alla luce di una nuova sensibilità poetica. Anche la musica inclina verso una temperie nuova, grazie al denso magnetismo espressivo e al movimento più articolato delle parti vocali, che integrano l'originario tessuto sinfonico esplicitandolo tramite un testo; ma la pagina che davvero intuisce orizzonti futuri resta il Poco Largo, aggiunto ex novo in apertura della seconda parte: un corale per soli fiati dalla timbrica secca e brunita di sapore novecentesco, che rilegge in modo superbo la polifonia barocca e stravolge l'amabile calore dei tradizionali complessi di 'Harmonie' con la sua grave andatura quasi di marcia funebre, densa di rassegnazione, dolorosa mestizia e di un senso del lutto carico di presagi nell'evocativa solennità dei tromboni. Haydn raggiunse tuttavia la maggior gloria e fama europea con i due monumentali capolavori de La Creazione e Le stagioni, che nascono da una comune radice britannica giacché nel primo van Swieten rielaborò il testo, forse destinato a Handel, di un ignoto librettista inglese mentre nel secondo trae spunto da vari episodi del celebre poema di James Thomson. Entrambi i testi presupponevano un razionalismo newtoniano che credeva nel Grande Architetto dell'Universo e un illuminismo che invitava con Hume a cercare le sue tracce nella natura, esaltandone la bellezza e il ruolo positivo dell'uomo quale suo signore in una visione ottimista che permeava anche la sensibilità anglicana del pieno '700. Die Schopfung, ispirata alla Bibbia e al Paradiso perduto di Milton, riflette chiare tendenze sovraconfessionali che derivano dal deismo e da un’impronta massonica, responsabile anch'essa di aver escluso l'episodio della Caduta per valorizzare in pieno il contenuto progressista dell'agire umano. Van Swieten era d'altronde massone, cresciuto all'ombra di quell'Aufklarung giuseppino che rianimò grazie a un testo ricco di fascino per la stessa mentalità di fine secolo; era inoltre la figura più accreditata per mettere insieme la cordata internazionale che finanziò i costi dell'oratorio e sponsorizzò l'impresa, unendo Francia, Inghilterra e Impero al di là del conflitto sanguinoso che li divideva. Dal canto suo, Haydn era sempre rimasto fedele ad un umanesimo e a un'arte cosmopolita; grazie a lui, sulle rovine del mondo da cui era nato, l'universalismo settecentesco trova dunque per l'ultima volta la forza di gettare i propri semi fra i solchi di una partitura che li rigenera e li trasforma per interpretare, con la grandezza di un'opera verticale, l’impellente bisogno di una nuova visione ecumenica dell'umanità. Ad essa corrisponde un’autentica enciclopedia di stili, fornita dalle arie (lied, Singspiel, opera italiana, canzonetta inglese, ecc.); ma, tramontata ormai una lingua franca europea e la cultura che la sorreggeva, il perno sul quale ruota questo ventaglio é una chiara matrice tedesca, forte della coscienza che d'ora in avanti solo tramite l'espressione della propria identità nazionale ci si sarebbe potuti rivolgere ad un'Europa dei popoli. La crisi dell'egemonia drammaturgica e musicale italiana era però iniziata sin dal 1780 quando, assieme al Singspiel, Vienna scoprì l'oratorio tedesco antico e contemporaneo; se infatti la Tonkunstler Societat aveva cominciato ad abbandonare l'azione sacra rivolgendosi ad opere che seguivano le forme tipiche della Germania protestante, lo stesso van Swieten aveva fondato nel 1785 la Gesellschaft der Assozierten per diffondere le partiture di Handel e Bach. Il libretto della Creazione reca in qualche modo le tracce della grande libertà strutturale handeliana, estranea tanto all'opera tardobarocca che a quella del '700; nondimeno Haydn costruì un edificio singolare, poliedrico e organico nell'uso di materiali diversi: il coro che interviene come voce delle schiere angeliche nonché di tutti gli esseri uniti nella preghiera, il recupero di stilemi seicenteschi come il testo cantato da vari personaggi, l'alternanza consueta fra 'secco' e pezzo chiuso arricchita dalla presenza di duetti, terzetti, brani con interventi corali e recitativi obbligati, distribuiti con grande acume ed efficacia drammatica. Lo spirito é in ogni caso epico e in un certo senso liturgico: ad ogni episodio del Genesi segue infatti una sua parafrasi\commento, e un inno di preghiera dopo ciascun gruppo di episodi. I gruppi della prima parte organizzano le quattro iniziali giornate della Creazione in tre cicli completi, dove il binomio Sole\Luna dell'ultimo riflette quello di Tenebra\Luce del primo mentre la nascita della terra segna il passaggio dal sovramondo delle acque primordiali alle forme stabili dell'universo conosciuto; questo schema ternario si ripercuote a sua volta nelle tre parti dell'oratorio, dove la seconda svolge una funzione mediana illustrando la nascita delle specie viventi dominate dall'uomo, mentre la terza riassume l'opera creatrice in un inno da parte di Adamo, Eva e di tutti gli esseri celesti e terreni. Tali simmetrie non rispondono solo ad un bisogno di ordine, ma sembrano avere anche una valenza simbolica nella circolare progressione numerica che abbraccia l'oratorio: la prima parte si divide in tre gruppi, la seconda in due e la terza in uno solo, che tuttavia contiene la precedente dualità uomo\animali e il cosmo stesso, contemplato nella sua interezza dallo sguardo umano quando all'inizio riposava già completo nella mente di Dio. I preludi sinfonici alla prima e alla terza parte sostengono infine il grande arco della creazione, sorto dalle tenebre del Caos e concluso nell'alba del mondo umano. Il quadro d'apertura colpisce ancor oggi per il misterioso clima evocativo prodotto da timbri e colori velati, da insoliti giri armonici e da una forma incerta che nasconde l'abile ricorso alla Fantasia e al Ricercare barocco; solisti e coro descrivono quindi gli elementi primordiali, avvolti nella stasi e nel silenzio, finché la luce irrompe nel bagliore improvviso di un 'tutti' che soggioga per la sua gloriosa e terribile potenza. La limpida e serena dolcezza del preludio alla terza parte esprime invece un'armonia totale, composta dal motivo cosmico fuso in una progressiva luminosità con la bellezza rassicurante dell'ambiente mondano. Fra questi due pilastri l'oratorio accoglie l'espressione del sublime preromantico, della maestosa gloria di un Dio benevolo, e dello sguardo innocente che si posa sul creato con quell'immediatezza paradisiaca conservata dall'utopia settecentesca nell'idillio e nell'ingenua spontaneità popolare. L'orchestra evoca poi le acque, gli astri e gli animali in vivide miniature che precedono sempre la loro descrizione nel libretto, simbolizzando così nel transito dalle immagini alle forme concrete il processo medesimo della creatività divina. Lungi dal riempire la musica di elementi pittorici, con queste pagine illustrative Haydn riuscì comunque ad esaudire una precisa richiesta del barone van Swieten, che divenne ancor più sollecito in questa direzione a proposito delle Jahreszeiten, aumentando l'insofferenza del compositore verso una materia per lui già abbastanza costretta nella prosaicità del quotidiano. Tempo addietro si sarebbe forse compiaciuto di un poema che parla del gioioso rapporto con la natura, dei piaceri di campagna e del lavoro edificante di semplici contadini; ma ora, di fronte a un terremoto che stava rivoluzionando l'ordine politico e la società della vecchia Europa, Haydn aveva iniziato a gettare lo sguardo su argomenti metafisici come il Giudizio Universale. Van Swieten cercò di rielaborare ed arricchire il poema di Thomson, dando maggior spazio ad un simbolismo che nel ciclo delle stagioni vuol cogliere le varie fasi dell'esistenza umana e l'espressione multiforme degli attributi di Dio; il testo era comunque pervaso da un bozzettismo che offuscava i toni moralistici e religiosi, mantenendo in primo piano le scene bucoliche, i paesaggi e il colore locale. Per nulla intenzionato a fornire quadretti di genere, Haydn reagisce allora con un'opera che trascende l'orizzonte figurativo e genera un tale contrasto fra il progetto poetico e quello musicale da evidenziare maggiormente la forte spiritualità di cui é imbevuta gran parte del lavoro. Schemi e contenuti del primo quadro sembrano infatti riecheggiare in chiave umana e terrena la prima parte della Schopfung: l'overture presenta una versione drammatica dello scontro fra la luce e il caos, nelle sembianze di un'oscura e gelida tormenta che svanisce al soffio lieto e vigoroso della Primavera; la scena concitata si calma nel dolcissimo recitativo di Hanne, cui subentra la fragrante limpidezza del coro che assiste ad una nuova nascita del mondo. Vestendo gli abiti di Papageno Simon guarda l'uomo gettare fra i campi i semi della vita, mentre i contadini si rivolgono al cielo per ottenere le grazie della bella stagione con un'intima e raccolta preghiera che si allarga in un energico e vibrante fugato. Col progressivo intervento del coro, la serena e semplice melodia del duetto fra Hanne e Lucas gioisce nel partecipare al risveglio delle piante, acque e animali, finché la voce di Simon apre le soglie di un orizzonte cosmico nell'inno all'eterna potenza benefattrice di Dio, spirito creatore che anima la vita del Tutto, chiudendo la prima parte con una pagina gloriosa e monumentale di handeliana solennità. La Primavera inizia dunque il ciclo stagionale trasformando le consuete pratiche contadine in un rito celebrativo dell'evento archetipo narrato dal Genesi; conservando intatta la sua natura adamitica, l'uomo scorge allora nell'universo l'immagine divina e, tramite la purezza della sua innocenza, raggiunge le vette più alte del sentimento religioso. Non il testo ma la musica veicola un simile messaggio, usando forme liturgiche come la fuga e soprattutto riducendo all'osso l'imitazione sonora delle scene descritte dai tre protagonisti; questi, a loro volta, da personaggi si tramutano in voci astratte e disincarnate che, senza mai parteciparvi, osservano in lontananza e riferiscono lo svolgersi della realtà concreta. Se van Swieten possiede una visione da cronista, Haydn sceglie pertanto un'angolatura distaccata che nell'Estate si fa contemplativa, traducendo l'esperienza interiore di chi la prova con l’intensità metaforica di una profonda espressione musicale. L'atmosfera immobile dell'inizio, rotta dal canto del gallo che annuncia l'alba e dai romantici squilli di un corno che chiama la gente al lavoro, fino al crescendo che illumina il cielo col sorgere del sole, sembrerebbe dipingere uno splendido paesaggio; ma il divagare apparentemente incerto del discorso, i giri armonici che sfumano l'uno nell'altro in una mutazione ininterrotta e la timbrica bagnata da colori insoliti che percorrono verso il chiaro l'intera gamma delle loro tonalità, rappresentano invece uno stato d'animo: quello passivo e ricettivo dell'attesa, immerso in un limbo senza tempo dove i suoni della vita, privi del seguito di movimenti e attività di cui sono il segno, riecheggiano nel vuoto misteriosi e solitari. Ancor più ingannevole risulta l'immagine della debolezza e dell'abbandono alla calura estiva come del rilassamento nell'ombra di un bosco, giacché i ritmi rallentati e il canto a mezza voce non si preoccupano di mimare gli effetti del clima quanto di esprimere una forma di contemplazione, di estasi e di pace che presta orecchio ai bisbigli della natura solo come esercizio per auscultare le proprie risonanze interiori. A questo punto, preparando la catarsi dell'ultimo episodio con un tragico affresco che getta l'umanità fra i vortici di una bufera dantesca, il temporale giunge come terzo momento di un organico itinerario che si conclude poi nell'amabile terzetto dei protagonisti; dopo aver sviluppato il motivo di una cosmica vastità dell'anima e dell'universo rispetto alla piccolezza dell'io individuale, al termine dell'Estate l'uomo ritrova dunque la propria felice innocenza in un mondo sempre vergine, dove le imitazioni dei suoni naturali ricevono appunto un carattere singolarmente naif. La seconda metà dell'oratorio non si dimostra purtroppo coerente come la prima. Simbolizzando in qualche modo la vita attiva, l'Autunno appare come l'episodio meno riuscito proprio perché le cacce, gli amori e le feste serali obbligano la musica a seguirne le vicende, con un'ottima scrittura colorita ed efficace ma povera di forte ispirazione per un descrittivismo che contraddice la poetica sinora espressa da Haydn. Sviluppando la metafora della decadenza senile nell'immagine della vita che gela e svanisce, i primi numeri dell'Inverno ripropongono paesaggi/stati d'animo di grande intensità, dal preludio illividito nel grigiore melmoso della depressione allo sfinimento rassegnato di Hanne, all'immobile tristezza di un ghiaccio che rinserra l'anima nel recitativo di Lucas e all'aria sulle angosce del viandante sperduto, pervasa da una sottigliezza concitata e tagliente che trova poi modo di rilassarsi nella parte conclusiva. Il testo passa poi dalla fredda desolazione al tepore della casa; ma l'episodio fragrante delle donne all'arcolaio, tratto da una ballata di Burger, riceve nel refrain del coro una veste musicale cupa, tragica e premonitrice; subito dopo, l'allegria popolare del Marchen sfuma però quest'abbagliante intuizione del più turbato romanticismo e spezza un'unità di clima che l'aria di Simon sulle stagioni paragonate alle quattro età dell'uomo non riesce a ripristinare. Il terzetto e coro finale si apre con la visione di una nuova vita oltre la morte, nell'ascesa delle anime pure verso il sacro monte celebrata come un rito massonico; ma l'andatura baldanzosa e la serena semplicità di toni non sembrano davvero pertinenti ad un epilogo così solenne, che solo nella fuga di chiusura trova la giusta dimensione del trionfo e della maestosità. Rifiutando di aderire allo spirito di un genere diffuso e rappresentativo come la poesia stagionale, Die Jahreszeiten si emancipano dal XVIII° secolo con una volontà di scarto ai limiti della rottura che resta un caso inedito nell'ultimo Haydn, sempre fedele ad un'impercettibile trasmutazione del vecchio nel nuovo. Ma l'oratorio non propone romantiche simbiosi fra natura e individuo, giacché i sentimenti da essa provocati risultano semplici metafore per esprimere stati d'animo che appartengono ad una sfera del tutto spirituale; l'unica natura capace ormai di parlare a Haydn é in realtà quella appena sorta durante i giorni della Creazione, quando l'universo era ancora popolato di angeli e veniva plasmato dalle mani di Dio. Per tali motivi, Haydn fu ben poco stimolato dall'idea di van Swieten di rappresentare nel microcosmo del secondo oratorio un riflesso dell'ordine macrocosmico illustrato dal primo; gli stessi Hanne, Simon e Lucas incarnano modelli adamitici ma non abitano più il centro del creato come i loro archetipi progenitori, osservando quasi da lontano un mondo vissuto per immagini senza partecipare all'esistenza concreta dell'umanità. Se la Schopfung si rivolgeva implicitamente ai 'Millionen' venticinque anni prima della Nona di Beethoven, Le stagioni contengono una sotterranea ma palpabile frattura tra cielo e terra, scegliendo l'isolamento; non a caso l'ultimo Haydn parlerà ai suoi simili solo attraverso le Messe, dove gli unici riflessi del mondo portano i segni della guerra e della distruzione.
Ultimo aggiornamento ( lunedì 14 settembre 2009 )
 
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